Nuove opportunità del sistema sanzionatorio penale

2 Febbraio 2024

I. Premessa.

In ambito penale, la Riforma Cartabia (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) ha perseguito anzitutto l’ambizioso e pregevole obiettivo di migliorare l’efficienza del processo, agendo tanto sul versante sostanziale quanto su quello procedurale.

Ma il Legislatore Delegato ha saputo guardare anche oltre a tale scopo, concependo “l’efficienza del processo come obiettivo che non può prescindere dall’efficienza dell’esecuzione” ([1]).

In quest’ottica, l’intervento riformatore ha tratteggiato un vero e proprio nuovo volto per il sistema sanzionatorio, tramite un ampio restyling delle sanzioni (oggi definite “pene”) sostitutive e, parallelamente, della disciplina dell’esecuzione penale.

L’assetto che ne è derivato, nel segno dell’efficientamento complessivo del sistema processuale, risponde all’esigenza di debellare le criticità relative all’esecuzione delle pene pecuniarie e alle pene detentive non superiori a quattro anni, che avevano ormai notoriamente compromesso l’effettività della fase esecutiva e, con essa, il fine rieducativo della pena.

Tenuto conto delle importanti ricadute pratiche della normativa di recente introduzione, questo Focus si propone di offrire una panoramica del sistema sanzionatorio configurato dalla Riforma Cartabia, analizzando le nuove e appetibili opportunità di reinserimento sociale per i condannati – anche a seguito di sentenza di patteggiamento – a pene detentive brevi.

II. Che ruolo avevano e come erano disciplinate le sanzioni sostitutive prima della Riforma Cartabia?

Per cogliere la portata innovativa della Riforma Cartabia rispetto al sistema sanzionatorio, occorre soffermarsi brevemente sul quadro normativo previgente.

Introdotte con la Legge 24 novembre 1981, n. 689 e ivi disciplinate, le sanzioni sostitutive consentivano una espiazione alternativa alla pena detentiva nel caso in cui la condanna inflitta, ovvero la pena concordata in sede di patteggiamento, non fosse superiore a due anni.

In particolare, l’art. 53 della citata L. n. 689/1981 prevedeva la facoltà per il Giudice di sostituire la pena detentiva breve, a seconda della relativa durata, con le seguenti sanzioni:

-la semidetenzione, entro i due anni di pena detentiva (con obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti di pena, oltre all’osservanza di una serie di divieti e prescrizioni)

anche la libertà controllata,entro un anno di pena detentiva (con obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso le forze dell’ordine, oltre all’osservanza di una serie di divieti e prescrizioni) 

-anche la pena pecuniaria della specie corrispondente (i.e. multa in sostituzione della reclusione e ammenda in sostituzione dell’arresto), entro i sei mesi di pena detentiva

Ferme le soglie suindicate, la scelta della sanzione sostitutiva da applicare nel caso concreto era rimessa alla discrezionalità del Giudice, vincolata al rispetto dei criteri dell’art. 133 c.p. e orientata (i) dalla idoneità della sanzione sostitutiva rispetto al reinserimento sociale del condannato nonché da (ii) una valutazione di tipo prognostico sull’adempimento, da parte del condannato stesso, delle prescrizioni inerenti a ciascuna sanzione sostitutiva.

Tali istituti erano finalizzati a scongiurare i noti effetti collaterali, prima fra tutti la desocializzazione, propri della detenzione di breve durata in istituto carcerario, che era nel tempo risultata inefficace sia sotto il profilo repressivo che sotto quello della rieducazione del reo.

III. Perché il Legislatore della Riforma Cartabia ha deciso di ripensare il sistema delle sanzioni sostitutive?

Sin dalla loro introduzione, le sanzioni sostitutive appena passate in rassegna si sono rivelate uno strumento inadatto rispetto allo scopo perseguito e, pertanto, hanno avuto una ristretta applicazione.

Le ragioni di questo fallimento sono senz’altro molteplici, ma il principale punto di debolezza di tali istituti è stato individuato nella loro scarsa competitività rispetto alla sospensione condizionale della pena che, avendo lo stesso perimetro applicativo (i.e. pene detentive inflitte non superiori a due anni) e mostrandosi processualmente più appetibile, aveva finito per “fagocitare” le sanzioni sostitutive, facendole scomparire dalla prassi.

Con riferimento poi alle pene pecuniarie (anche applicate in via sostitutiva), deve evidenziarsi che esse, per la loro configurazione, erano perlopiù destinate a non essere mai eseguite.  Secondo i dati del Casellario Giudiziale sull’anno 2019, riportati nella Relazione illustrativa della Riforma Cartabia, l’importo delle pene pecuniarie effettivamente riscosse è stato pari allo 0,046 % del totale.

Preso atto di tali gravi e strutturali inefficienze del sistema sanzionatorio, il Legislatore Delegato ha individuato proprio nelle “sfortunate” sanzioni sostitutive l’opportunità per introdurre una serie di incisive modifiche che, pur mantenendo formalmente inalterata la primazia della pena detentiva nel sistema sanzionatorio, permettessero di rendere più efficace ed efficiente l’esecuzione penale nonché – scopo più importante – di umanizzare la pena, evitando l’ingresso in carcere ad una platea di soggetti più ampia rispetto al passato, con il pregevole effetto di contrastare il noto sovraffollamento degli istituti penitenziari e migliorare le condizioni della popolazione carceraria.

In funzione di tali obiettivi, il Legislatore ha da ultimo rivoluzionato il sistema delle sanzioni sostitutive sotto entrambi i versanti sostanziale e processuale, restituendo a tali istituti una centralità mai sperimentata prima della Riforma.

IV. Quali sono le principali modifiche apportate dalla Riforma Cartabia al sistema sanzionatorio?

Le pene sostitutive delle pene detentive brevi, così ribattezzate dal Legislatore Delegato, hanno anzitutto visto un cambio di collocazione sistematica, facendo il loro ingresso nel Codice penale al nuovo art. 20 bis.

In forza di tale disposizione, il perimetro applicativo delle nuove pene sostitutive è stato significativamente ampliato, mediante l’innalzamento della relativa soglia fino ai quattro anni di pena detentiva inflitta.

Sul punto, nell’ottica di fugare i primi dubbi interpretativi manifestatisi nella prassi, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente precisato che il quantum che legittima la richiesta di applicazione della pena sostitutiva non può riferirsi alla pena da espiare in concreto e, dunque, non può tenere conto dell’eventuale pre-sofferto, dovendosi a tal riguardo tenere in considerazione la sola pena in concreto irrogata (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 7 dicembre 2023, n. 48868).

La portata di tale significativa estensione è presto intuibile.

Se infatti, come già accennato, il principale scoglio all’effettiva e diffusa applicazione delle sanzioni sostitutive era rappresentato dalla esatta sovrapposizione tra il loro campo di operatività e quello della sospensione condizionale della pena – con evidente preferenza per quest’ultima, la cui applicazione sotto i due anni di pena inflitta era pressoché automatica – l’innalzamento del limite massimo della pena sostituibile appare idoneo a restituire nuova linfa a tali istituti.

Con specifico riferimento alla pena pecuniaria, il Legislatore della Riforma ha inteso approntare rimedi di segno diverso per ovviare alla tradizionale ineffettività di tale tipologia di pena.

A tale fine, la disciplina è stata profondamente modificata mediante due distinti interventi:

sul versante sostanziale, si prevede, in caso di mancato pagamento della pena pecuniaria inflitta, la possibilità di convertire detta pena in una pena limitativa della libertà personale tanto nei confronti del condannato insolvibile (i.e. impossibilitato a pagare), per il quale sono previsti i lavori di pubblica utilità (o, in caso di opposizione, la detenzione domiciliare), quanto nei confronti di quello insolvente (i.e. che non paga pur avendone i mezzi), per il quale è prevista la semilibertà;

sul versante processuale, è stato delineato un nuovo meccanismo di esecuzione sulla falsariga di quello previsto per l’esecuzione della pena detentiva. Segnatamente, il rinnovato art. 660 c.p.p. prevede che, in caso di condanna irrevocabile a pena pecuniaria, anche in sostituzione di una pena detentiva breve, il Pubblico Ministero emetta un ordine di esecuzione con il quale ingiunge il condannato al pagamento. Tale ordine di esecuzione, a norma del comma 3 della disposizione citata, “contiene altresì l’intimazione al condannato a pena pecuniaria di provvedere al pagamento entro il termine di novanta giorni dalla notifica e l’avviso che, in mancanza, la pena pecuniaria sarà convertita nella semilibertà sostitutiva o, in caso di accertata insolvibilità, nel lavoro di pubblica utilità sostitutivo o nella detenzione domiciliare sostitutiva”.

Con ogni evidenza, la ratio sottostante a tali interventi è quella di incentivare il pagamento spontaneo delle pene pecuniarie, facendo leva sul timore concreto del condannato di essere destinatario di pene da conversione effettive e più afflittive.

V. Quali sono le pene sostitutive ad oggi applicabili?

Rispetto all’assetto della L. n. 689/1981, la Riforma Cartabia ha abrogato le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata, mentre – come già vistp – ha risparmiato la pena pecuniaria sostitutiva.

Nell’implementare e modificare l’elenco delle pene sostitutive, il Legislatore Delegato ha attinto dal catalogo delle (persistenti) misure alternative alla detenzione – con la vistosa (e opinabile) eccezione dell’affidamento in prova al servizio sociale che, tutt’oggi, rimane confinato al solo momento esecutivo.

Più in dettaglio, il nuovo art. 20 bis c.p. prevede:

-entro i quattro anni di pena detentiva, la semilibertà sostitutiva (con obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in un istituto di pena e di svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili allarieducazione ed al reinserimento sociale, secondo il programma di trattamento) e la detenzione domiciliare sostitutiva (con obbligo di rimanere presso il domicilio per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato, e con facoltà di lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal Giudice) 

-entro i tre anni di pena detentiva, anche i lavori di pubblica utilità (consistente nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, di regola nell’ambito della regione in cui risiede il condannato, per non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale, con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato)

-entro un anno di pena detentiva, anche la pena pecuniaria della specie corrispondente (calcolata moltiplicando il numero di giorni di pena detentiva da infliggersi per un valore giornaliero, individuato dal Giudice in una forbice che va da 5,00 a 2.500,00 euro in ragione delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita del condannato e del suo nucleo familiare)

Per quanto attiene alla disciplina e agli effetti delle singole pene, il Legislatore Delegato ha previsto sia un corpus di prescrizioni comuni a tutte le pene diverse dalla pena pecuniaria, che una serie di disposizioni specifiche.

Quanto alle prescrizioni comuni, il nuovo art. 56 ter della L. n. 689/1981 prevede infatti:

1.il divieto incondizionato di detenere o portare armi, munizioni o esplosivi

2.il divieto di frequentare, senza giustificato motivo e salvo il caso in cui si tratti di familiari o conviventi, pregiudicati, soggetti sottoposti a misure di sicurezza o di prevenzione o che comunque generino il rischio di commissione di reati da parte del condannato

3.l’obbligo di permanere nell’ambito territoriale indicato dal provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva

4.il ritiro del passaporto e di altri documenti equipollenti

5.l’obbligo di conservare ed esibire a richiesta della Pubblica Autorità il provvedimento che applica, dà esecuzione o modifica le prescrizioni della pena sostitutiva

6.l’eventuale divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, qualora il Giudice lo ritenga necessario ai fini della prevenzione di ulteriori reati.

VI. In caso di applicazione delle pene sostitutive, può essere concessa la sospensione condizionale della pena?

No, perché l’innalzamento delle soglie previste per le nuove pene sostitutive risponde proprio all’esigenza di porre fine alla fagocitazione dei meccanismi sostitutivi da quelli sospensivi, che si era registrata sotto il regime previgente.

In proposito, la Riforma ha introdotto un’apposita previsione all’art. 61 bis della L. n. 689/1981, ponendo un espresso divieto di concessione del beneficio previsto dall’art. 163 c.p. in relazione alle pene sostitutive.

VII. Quale Giudice applica le pene sostitutive?

Sotto il profilo processuale, la principale novità è sicuramente rappresentata dalla rinnovata centralità del giudizio di cognizione quale luogo privilegiato – oltre al tradizionale accertamento della responsabilità penale dell’imputato – per la valutazione della personalità del reo ai fini dell’individuazione dello strumento sanzionatorio più idoneo.

Infatti, mentre sulla base della normativa previgente il compito di “personalizzare” la risposta sanzionatoria andava di fatto a ricadere sulla Magistratura di Sorveglianza – tramite il meccanismo della sospensione dell’ordine di esecuzione delle sentenze di condanna a pena detentiva fino ai quattro anni previsto dall’art. 656 c.p.p., e della successiva richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione – oggi è il Giudice del merito che, in caso di condanna o applicazione delle pena su richiesta che non superi i quattro anni, è chiamato a valutare l’opportunità di applicare una delle nuove pene sostitutive, sulla base di criteri essenzialmente speculari a quelli già impiegati dalla Magistratura di Sorveglianza in sede di applicazione delle misure alternative alla detenzione. Segnatamente, il nuovo art. 58 della L. n. 689/1981 prevede che “il Giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati”.

VIII. Come e quando il Giudice può applicare le pene sostitutive?

L’iter di applicazione delle nuove pene sostitutive è disciplinato dal nuovo art. 545 bis c.p.p.

Tale innovativa diposizione processuale concepisce un sistema eventualmente bifasico. Più in dettaglio, dopo la lettura del dispositivo con cui viene applicata una pena detentiva non superiore ad anni quattro, il Giudice, su richiesta di parte ovvero d’ufficio, se ne ricorrono le condizioni, sentito il Pubblico Ministero e previo consenso dell’imputato – espresso personalmente o a mezzo procuratore speciale – può decidere immediatamente sulla sostituzione della pena detentiva. A tal riguardo, si precisa che il consenso dell’imputato non è necessario allorché il Giudice intenda disporre una pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva.

Qualora una decisione immediata in tal senso non risulti possibile – ad esempio, per la mancanza di informazioni sufficienti sui lavori di pubblica utilità sostitutivi eventualmente da irrogare – il Giudice fissa una ulteriore udienza, c.d. di sentencing, non oltre 60 giorni, ai soli fini della eventuale integrazione del dispositivo con le modalità di sostituzione della pena. Nelle more, il processo rimane sospeso.

In tal caso, è solo con la lettura in udienza del dispositivo integrato o confermato che la sentenza può intendersi pubblicata. E infatti, l’art. 545-bis, comma 4 c.p.p. prevede che “i termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dalla lettura del dispositivo, confermato o integrato”.

IX. Quali sono i criteri che guidano il Giudice nella sostituzione della pena detentiva?

L’attuale morfologia del sistema delle pene sostitutive, specie nella parte in cui prevede la medesima soglia di pena per la sostituzione della detenzione con la semilibertà o con la detenzione domiciliare, impone al Giudice una approfondita valutazione del caso concreto, onde evitare che il giudicante possa rifugiarsi in facili automatismi.

A tale scopo, al Giudice è riconosciuto un ampio margine di discrezionalità nella valutazione sull’opportunità della sostituzione, e i poteri istruttori a questi attribuiti ai fini della decisione appaiono particolarmente estesi.

Procedendo con ordine, in prima battuta il Giudice è chiamato a valutare la sussistenza delle condizioni soggettive per la sostituzione previste dall’art. 59 della L. n. 689/1981, che esclude la sostituibilità nel caso in cui:

-il reato per cui si procede sia stato commesso entro tre anni dalla revoca di una precedente pena sostitutiva o nelle more dell’esecuzione di una pena sostitutiva

-con specifico riferimento alla pena pecuniaria, si sia registrato un omesso pagamento di altra pena pecuniaria già irrogata nei cinque anni precedenti (salvi i casi di conversione per insolvibilità, su cui si veda supra, para. IV)

-sia stata applicata una misura di sicurezza personale, salvi i casi di parziale incapacità di intendere e di volere

-il reato per cui si procede sia incluso nell’elenco per reati c.d. ostativi di cui all’art. 4 bis dellaL. n. 354/1975 (salvo che sia stata riconosciuta l’attenuante prevista dall’art. 323 bis, comma 2, c.p.)

In seguito, ai sensi dell’art. 58 della L. n. 689/1981, il giudicante valutare l’idoneità della pena sostituiva astrattamente applicabile alla rieducazione del condannato. La sostituzione è comunque preclusa in caso di prognosi di inadempimento delle prescrizioni, basata su fondati motivi.

La disposizione da ultimo citata prevede poi uno specifico criterio di scelta tra le pene sostitutive astrattamente applicabili, imponendo al Giudice di applicare quella che comporta “il minor sacrificio della libertà personale”, motivando esplicitamente le ragioni della scelta operata.

Il ruolo di extrema ratio riservato alle pene sostitutive incidenti sulla libertà è reso ulteriormente manifesto dal comma 3 della disposizione in commento, che prevede un obbligo di motivazione rafforzata nei in casi in cui il Giudice ritenga idonea la semilibertà o la detenzione domiciliare. In proposito, è utile evidenziare come l’indisponibilità di mezzi di sorveglianza a distanza (e.g. braccialetto elettronico) non possa essere validamente posta a fondamento della mancata sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare.

Quanto ai poteri istruttori del Giudice, l’art. 545-bis, comma 2c.p. prevede la possibilità che egli acquisisca dall’UEPE e, se del caso, dalla polizia giudiziaria, tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato.

Inoltre, il Giudice può richiedere all’UEPE il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, con la relativa disponibilità dell’ente e, con riferimento ai condannati tossicodipendenti o alcoldipendenti, può acquisire la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero, ancora, da gioco d’azzardo, e il relativo programma terapeutico che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi.

Per agevolare il compito del Giudice, le parti possono depositare documentazione all’UEPE e, fino a cinque giorni prima dell’udienza, possono presentare memorie in cancelleria.

X. La decisione del Giudice sulla sostituzione della pena è sindacabile?

L’orientamento dominante nega l’autonoma impugnabilità della decisione sulla sostituzione della pena, la quale può dunque essere sindacata solo in uno all’impugnazione della sentenza, da proporsi entro i rituali termini previsti dall’art. 585 c.p.p. (decorrenti dalla lettura in udienza del dispositivo confermato o integrato, nel caso in cui il processo sia stato sospeso con fissazione della udienza di c.d. sentencing; cfr. Cass. Pen., Sez. V, 31 ottobre 2023, n. 43960).

Tale quadro vede una importante eccezione: le sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, a norma del nuovo art. 593, comma 3 c.p.p., sono infatti inappellabili (previsione che, a ben vedere, giustifica il necessario consenso dell’imputato quale presupposto della sostituzione della pena).

XI. Qual è il rapporto tra pene sostitutive e misure alternative alla detenzione?

Il rapporto tra le pene sostitutive e le misure alternative alla detenzione è stato concepito dal Legislatore Delegato in termini di alternatività.

Infatti, in caso di applicazione di una pena sostitutiva, il condannato non potrà beneficiare del meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 5 c.p.p.

In altri termini, le pene sostitutive sono immediatamente esecutive una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta che ne dispone l’applicazione.

Tuttavia, un importante punto di raccordo tra il sistema delle pene sostitutive codicistiche e quello delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario è costituito dalla possibilità, approntata dall’art. 67 della L. n. 689/1981, di chiedere l’affidamento in prova al servizio sociale dopo aver espiato metà della semilibertà o della detenzione domiciliare.

XII. L’applicazione delle pene sostitutive incide sulla confisca?

Generalmente, la sostituzione della pena non impatta sulla confisca. Fa eccezione l’applicazione del lavoro di pubblica utilità, che, se sostituito alla pena inflitta su richiesta delle parti o all’esito di un decreto penale di condanna, comporta – in caso di suo positivo completamento – la revoca della confisca facoltativa, disposta anche per equivalente, a condizione che il condannato abbia risarcito il danno o eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose del reato.


([1]) L’espressione è di G.L. Gatta, Riforma Cartabia e sistema sanzionatorio: tra efficienza dell’esecuzione penale ed effettività della pena, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2, 2023, p. 561.